Macchine Come Me (Ian McEwan, 2019)

Voto: 7 più più

Siamo in una versione alternativa degli anni ’80 in cui Alan Turing, padre dell’informatica, è vivo ed ha commercializzato dei robot auto-coscienti in tiratura limitata. Un tizio decide di comprare uno dei prototipi per fare colpo sulla vicina bona. Quest’ultima accoglie l’iniziativa con entusiasmo forse eccessivo, tanto che va subito a letto sia con l’androide sia con il padrone. Entrambi si innamorano perdutamente della tipa, e alla fine il robot rincoglionisce e comincia a scrivere haiku come un adolescente in fregola e a fare discorsi forcaioli tipo Travaglio.

Libro con l’atmosfera di Black Mirror, in cui si usa il pretesto della fantascienza per proporre una riflessione esistenzialista. In particolare, McEwan si chiede quale sia l’elemento che più caratterizza l’essere umano. Per identificare tale elemento, compara l’uomo con la macchina antropomorfa, e si chiede cosa ha in meno quest’ultima? Secondo l’autore un androide non è in grado di convivere con le proprie inconsistenze morali—se si macchia di una colpa, deve per forza espiarla—mentre l’uomo campa benissimo anche se fa cose eticamente discutibili. La caratteristica fondamentale dell’essere umano per McEwan è quindi lo “sticazzismo”, inteso come atteggiamento tollerante di fronte ai propri errori e alle ingiustizie compiute.

Spieghiamo qui sotto come arriva a questa conclusione.

L’uomo (a) agisce sul reale e (b) lo interpreta attraverso attraverso due canali: quello razionale e quello istintivo. La compresenza di questi due canali sia in fase di azione che di interpretazione fa sì che l’uomo riesca a convivere con le proprie contraddizioni morali: la vicina (***SPOILER***) convive con la colpa di avere commesso falsa testimonianza, perché questa è servita a far incarcerare lo stupratore della sua amica; il protagonista (***RI-SPOILER***) convive con la colpa di aver preso a randellate l’androide, e si giustifica dicendo che aveva proprio rotto i coglioni con gli haiku e la sua ossessione giustizialista. Queste giustificazioni sono logico-razionali fino ad un certo punto, e stanno in piedi soltanto perché a supportarle c’è un canale emotivo-istintivo.

Come l’uomo, la macchina agisce sul reale utilizzando i canali razionale e istintivo, ma, a differenza dell’uomo, non è in grado di interpretare la realtà con l’istinto che le permetterebbe di accettare le proprie contraddizioni, perché l’unico canale interpretativo attivo è quello razionale. L’assunzione di McEwan è che la nostra capacità istintiva di auto-giustificarci è intrinsecamente non spiegabile dal punto di vista logico-razionale; di conseguenza, non possiamo nemmeno progettare una macchina con tale capacità. E quindi, per il robot, ogni colpa causata da aspetti istintivi diventa una cosa da espiare ad ogni costo per preservare la propria consistenza logica: l’androide si comporta come un asperger che non comprende le sfumature etiche delle sue stesse azioni.

Come già in Espiazione, anche qui la colpa e, appunto, l’espiazione sono argomenti centrali. In questo senso, il libro si presta ad un’interpretazione biblica: gli androidi creati da Turing si chiamano Adamo ed Eva, e sono creati innocenti; quando si confrontano con il mondo conoscono la colpa—in forma prevalentemente di lussuria—e cercano di espiarla in tutti i modi; l’androide buonista viene alla fine ucciso dal suo simile umano, come Caino ha ucciso Abele; anche gli umani si confrontano con la colpa, e come gli androidi cercano l’espiazione tramite le buone azioni, però fino ad un certo punto, che tanto ti puoi sempre confessare e la faccenda finisce lì.

Lo schema di ragionamento e la riflessione ci sono piaciuti molto. Meno riuscita è la creazione del passato alternativo, dal momento che degli anni ’80 non c’è nemmeno la Gegia, figura cardine del periodo. McEwan è, come sempre, strepitoso nel raccontarci gli aspetti più carnali (e.g., il robot che gode mentre si attacca alla corrente ricorda molto il primo boccone di salamino mangiato dal personaggio di Espiazione dopo aver camminato per un centinaio di pagine). Ogni tanto però l’autore non ha abbastanza coraggio per raccontarci i processi mentali più disturbanti: non riesce a farci entrare davvero nella mente dello stupratore, barcamenandosi alla bell’e meglio tra differenti ipotesi di ricostruzione del suo ragionamento malato, e questo è un peccato per una penna così raffinata.

Nel complesso, un libro di fantascienza esistenzialista con elementi da giallo-thriller,
da leggere per ricordarci che siamo tutti macchine auto-coscienti che non riescono ad auto-controllarsi, soprattutto quando vedono vicine bone

“A lot of life is lived in the neutral zone, a familiar garden, but a grey one, unremarkable,  immediately forgotten, hard to describe.” 

androide

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